Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social, di Jaron Lanier

DiGiovanni Pascuzzi

15 Settembre 2018

Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social (di Jaron Lanier).

 

Jaron Lanier è un informatico che (oltre a svolgere l’attività di saggista) lavora nella Silicon Valley.

Conviene avvertire subito che egli non è contro Internet o gli smartphone (al contrario). Sul banco degli imputati Lanier mette i social. In particolare: Google, Twitter, Facebook e gli “addentellati” di quest’ultimo, ovvero Instagram e Whatsup (ma una considerazione diversa egli ha di LinkedIn[1]).

E come una litania ripete al lettore: “cancella i tuoi account social”. La ragione principale può essere così riassunta: i social fanno i soldi modificando i nostri comportamenti, perché vendono a chi ha interesse la possibilità di orientare le nostre scelte (esempio: votare o non votare).

Ma come avviene questo? I social si fondano su algoritmi adattivi (il cui codice proprietario è la cosa meglio custodita della storia) che mettono insieme miliardi di dati (statistica, quindi) e li usano per raggiungere determinati obiettivi: “Gli algoritmi non ti capiscono fino in fondo, ma i numeri sono potenti, soprattutto i grandi numeri. Se parecchie persone a cui piace lo stesso cibo che piace a te sono anche più propense a disprezzare le immagini di un candidato ritratto all’interno di una cornice rosa invece che blu, allora probabilmente lo sarai anche tu, e non serve saperne il motivo…. I cosiddetti inserzionisti sanno cogliere il momento giusto, quello in cui sei più predisposto, per influenzarti con gli annunci che hanno già funzionato con le persone con cui condividi certi tratti e circostanze” (p. 16).

Un tempo c’era la pubblicità. Ora c’è la modificazione comportamentale su vastissima scala.

Ma come è possibile essere catturati e manipolati?

Lanier sostiene che i social creano dipendenza e operano come l’addestratore del cane di Pavlov.

Il vedere un post o una foto pubblicata, i conseguenti “like” che riceviamo sono delle piccole dosi di dopamina. Attraverso il gioco dei feedback positivi e negativi (ma anche di quelli causali) si opera il condizionamento (secondo la teoria comportamentista[2]) e quindi si genera la dipendenza. Inoltre i social fanno leva anche su un’altra dimensione di stimoli: la pressione sociale; perché le persone sono sensibili a questioni come lo status sociale, il giudizio, la competizione (p. 29). La paura di non piacere è una paura profonda: e su questa paura si fa leva per creare dipendenza e manipolazione dei comportamenti. Il problema è che i “manipolatori” (ovvero coloro che fanno affidamento sui social per orientare i comportamenti verso un certo obiettivo) non pagano per trasformarci in creature gentili e favorire la pace nel mondo. Una sfortunata combinazione di biologia (es. le emozioni negative) e matematica favorisce il degrado (p. 34).

In sintesi: la prima ragione per abbandonare i social è perché ci tolgono la libertà di scegliere (rendendoci cavie di laboratorio dipendenti).

Ma andiamo ancora più nel dettaglio.

Il modello di business dei social incentiva la ricerca di clienti (dovrebbe essere chiaro che non siamo noi i clienti di Facebook) pronti a sborsare pur di modificare l’identità della gente (p. 42). Solo che vengono amplificate le emozioni negative più di quelle positive e quindi il modello è più efficace nel danneggiare la società che nel migliorarla (p. 43).

I social creano ciò che Lanier chiama la FREGATURA, un acronimo che significa: “Fornire ai Re dell’Economia Globale Annunci che Trasformano gli Utenti Ridotti in Algoritmi” (p. 44).

La FREGATURA è una macchina composta di sei parti mobili:

A – Acquisizione dell’attenzione. La ricompensa maggiore sui social (nell’ottica del condizionamento pavloviano visto sopra) è l’attenzione. Siccome di regola più sei str… più l’attenzione ti viene data, ecco che si arriva alla supremazia degli str… sui social.

B – Buttare un occhio a quello che fanno gli altri. C’è sempre un algoritmo che registra quello che facciamo (la velocità di lettura, le pause per guardare qualcos’altro, etc.). In questo modo si creano “correlazioni” che tendono a creare tipologie di persone.

C – Contenuti ficcati a forza nella testa della gente. Ogni persona vede sul proprio social contenuti diversi. Questo perché si devono fornire gli stimoli giusti per modificare il comportamento della singola persona.

D – Dirigere i comportamenti delle persone nel modo più subdolo possibile. Gli elementi esposti creano un sistema di misurazioni e feedback progettato per modificare i comportamenti (si riveda l’esempio sopra fatto circa la relazione tra un cibo e l’immagine di un certo candidato).

E – Entrate economiche raggiunte permettendo ai peggiori str… di fregare tutti surrettiziamente. La macchina della FREGATURA viene data a noleggio per generare guadagni. Nessun politico oggi può fare campagna elettorale prescindendo dai social. Ma se l’obiettivo è ottenere i click, ecco che si creano incentivi sbagliati che peggiorano le cose. Il discorso vale anche per le testate giornalistiche. Per attirare l’attenzione si postano notizie che incoraggiano il clickbait (perciò sui siti dei giornali ci sono spesso filmati di liti furibonde tra personaggi più o meno famosi). Ma questo comporta lo scadimento delle notizie e la scomparsa di chi fa inchieste specialmente in ambito locale.

F- False persone e False masse. I social sono castelli di spettri pieni di false persone: falsi amici, falsi recensori, false immagini etc.

In sintesi: la seconda ragione per abbandonare i social è perché è il modo più mirato per resistere alla follia dei tempi. Questo modello di business produce incentivi perversi e corrompe le persone. “Il problema non è la tecnologia, ma l’uso che si fa della tecnologia per manipolare le persone, per accentrare il potere in modo malato e deviato, tanto da creare una minaccia per la sopravvivenza della civiltà” (p. 58).

Lanier spiega le altre ragioni del suo invito cancellare i propri account social.

Ragione 3. I social ti stanno facendo diventare st… Le persone dipendenti da qualcosa tendono a diventare nervose ed aggressive e ad insistere compulsivamente sulla propria situazione in cerca di conferme. Ecco spiegata la predisposizione ad offendersi alla velocità della luce. Attirare l’attenzione ad ogni costo porta al tribalismo.

Ragione 4. I social stanno minando la verità. Quando la gente è falsa, tutto diventa falso. Bufale e fake hanno una cassa di risonanza enorme. Si veda il caso della notizia (falsa) che afferma l’esistenza di un nesso tra vaccini e autismo. Ma siccome le notizie più inverosimili raccolgono più click (e, quindi, danno maggiore visibilità) la paranoia diventa un modo per attirare l’attenzione.

Ragione 5. I social media tolgono significato a quello che dici. Sui social non è possibile un reale dibattito perché ciò che si dice viene estrapolato e utilizzato in contesti diversi con l’ausilio degli eserciti di falsi.

Ragione 6. I social distruggono la tua capacità di provare empatia. I social rendono tutti più agitati e al tempo stesso alimentano il torpore sociale.

Ragione 7 I social media ti rendono infelice. Noi non siamo i clienti, ma il prodotto venduto. Veniamo costantemente giudicati e catalogati attraverso meccanismi che fanno leva sul nostro modo di essere e sulle nostre paure. Come ad esempio la paura del rifiuto che crea ansia sociale.

Ragione 8. I social media non vogliono che tu abbia una dignità economica. La logica del servizio apparentemente gratuito (offro servizi gratuiti per raccogliere dati), accredita l’idea che si possa fruire delle cose senza pagarle. Ma questo significa solo cancellare posti di lavoro e creare eserciti di sottopagati.

Ragione 9. I social media stanno rendendo la politica impossibile. I social creano illusioni (viene citato il caso delle cosiddette Primavere arabe): ovvero che per migliorare la società basti volerlo. Ma alla fine sono i prepotenti a vincere.

Ragione 10. I social media (ti) odiano (nel profondo del)l’anima. L’ultimo capitolo è dedicato a spiegare come i social finiscano per assomigliare ad una religione. Ma con molte ricadute negative. Un esempio. Tanto la scienza quanto la spiritualità hanno in comune un fondamento: per cercare la verità bisogna riconoscere la propria ignoranza. Ma siccome sui social la verità coincide con la fede nella viralità (è vero ciò che si ripete all’infinito) ecco che ci si gioca tanto la scienza quanto la spiritualità.

 

Il libro di Lanier è una lettura agevole e interessante. Proverò ad enucleare alcuni aspetti significativi.

 

Gli algoritmi. Il volume testimonia una volta di più l’importanza cruciale che gli algoritmi stanno assumendo. Qualcuno parla di dittatura del calcolo proprio facendo riferimento a loro (vedi Zallini[3]) e molti sono i libri che ne spiegano le diverse tipologie (vedi Cardon[4]). Ciò che caratterizza gli algoritmi è l’opacità. Sia perché sono sempre più complessi, e noi non siamo in grado di capire perché pongano in essere determinate operazioni; sia perché spesso sono “proprietari” ovvero non accessibili. Ed è proprio il caso degli algoritmi di Facebook e di Google. In questo caso c’è una difficoltà ulteriore perché questi algoritmi vengono cambiati in continuazione (ottimizzati) per renderli sempre più efficaci. In sostanza non si conoscono, non si sa cosa fanno e quando cominci a capirci qualcosa per via inferenziale studiando come si comportano, sono già cambiati[5].

 

I modelli di business. Il libro di Lanier aiuta a capire come “fanno i soldi” le piattaforme social[6]. Egli dimostra, ove mai ce ne fosse stato bisogno, che nulla è gratis. L’atto di iscriversi a Facebook è certamente gratuito: ma per poter postare e leggere i post degli altri, noi paghiamo dichiarando i nostri gusti. Lanier sostiene, però, che paghiamo un prezzo ancora più alto: la disponibilità ad essere manipolati. I veri clienti dei social sono gli inserzionisti e/o coloro che acquistano (legalmente oppure no) i dati che ci riguardano.

Ma a guadagnarci davvero sono in pochi. L’idea di dare servizi gratuitamente per poi intascare gli introiti della pubblicità (quello che in linea di principio dovrebbe essere il business dei social) non vale per altre attività come la produzione di musica o l’attività giornalistica. Il risultato di credere in quel modello è una crescente precarizzazione e la perdita di potere.

In ogni caso è bene diffidare da chi offre servizi gratis: in qualche modo chi eroga il servizio deve guadagnarci. E se non lo fa il fruitore lo fa qualcun altro. Per il proprio tornaconto (non per quello del fruitore)

 

Lo studio dei comportamenti. Ma è poi vero che i social hanno un impatto così importante sui comportamenti delle persone al punto da poterli modificare? Qui si apre uno spazio di riflessione molto interessante. Le considerazioni svolte da Lanier, se non giungono al livello di certezza, sicuramente dimostrano che i comportamenti possono essere influenzati. Da tempo si sente parlare di “pubblicità comportamentale” (“On line Behavioural Advertising”: OBA) ossia la pubblicità basata sull’analisi del comportamento delle persone che accedono ad internet[7]. Inoltre sembra assodato che i social sono usati per orientare il voto degli elettori: il caso “Cambridge Analytica” è esemplare. Il suo motto era: “Noi troviamo i tuoi elettori e li induciamo ad agire”[8]. Inoltre in questi giorni si discute molto dell’uso “spregiudicato” dei social da parte di un uomo politico italiano[9].

 

Progresso tecnico e progresso morale. Almeno in linea di principio, i social e gli algoritmi che li governano possono avere effetti devastanti. I “tecnici” che creano questi algoritmi sono coscienti di ciò? Hanno le competenze necessarie per governare temi così complessi sul piano etico-morale? Sul punto rinvio ad un articolo che ho scritto qualche giorno fa che così si conclude: “La cultura scientifico/tecnologica deve procedere di pari passo con la cultura etico/morale. E per quel che riguarda la formazione dei tecnologi, il problema non si risolve insegnando qualche ora di filosofia nei corsi di informatica o di biologia. Ma rendendo l’informatica e la biologia semplici specializzazioni dei corsi di laurea in scienze umanistiche”.

 

L’ordine sociale di Facebook. Lanier accosta in qualche modo i social ad una religione. Ciò che sicuramente è vero è che Facebook, a differenza degli altri social network, ha dei propri “Principi”. Una specie di Costituzione della società di Facebook (una Costituzione “concessa” non certo “deliberata”). I Principi di Facebook si aprono con questa frase: “Abbiamo ideato Facebook per rendere il mondo più aperto e trasparente, nella convinzione che ciò possa creare una maggiore comprensione e migliorare le comunicazioni. Facebook promuove l’apertura e la trasparenza offrendo agli utenti un’ampia libertà di condivisione e di contatto e si propone di raggiungere tali scopi sulla base di alcuni principi. Tali principi saranno limitati solo da limitazioni legali, tecnologiche e da nuove norme sociali. Poniamo pertanto tali Principi alla base dei diritti e delle responsabilità degli utenti del servizio di Facebook”.

Ai Principi di Facebook e alla società che esse prefigurino andrebbe dedicata una riflessione approfondita.

 

Che fare? Lasciare i social? Lanier invita ad abbandonare i social. Non per sempre: almeno per 6 mesi. Come modo per salvaguardare se stessi. E come modo per lanciare un segnale ai “padroni dei social” affinché cambino registro. Nel frattempo è possibile mantenere i rapporti scambiandosi delle mail (ma non utilizzando provider che leggono la posta come fa Gmail). Ed è possibile aprire dei propri siti.

Questi ultimi suggerimenti li ho fatti miei da tempo. Per le comunicazioni importanti uso un provider a pagamento; ho anche aperto il sito che ospita la pagina che state leggendo.

Riguardo ai social, uso delle cautele. Poche amicizie. Cancello chi “non sa stare a tavola”. Condizioni della privacy molto limitative. Metto dei like a casaccio così da “disorientare” l’algoritmo. Cancello le inserzioni senza spiegare perché. Qualche volta disattivo l’account per qualche giorno (finora solo uno tra i miei amici se ne è accorto) per disintossicarmi. Palliativi, ovviamente.

 

Il libro di Lanier mi ha fatto riflettere….

[1] Su LinkedIn gli utenti hanno qualcosa da fare, oltre che a competere per apparire: promuovere la propria carriera. La piattaforma guadagna non manipolando, ma mettendo in contatto domanda e offerta di lavoro (p. 73)

[2] Per un primo approfondimento sul comportamentismo v. G. Pascuzzi, Avvocati formano avvocati. Guida all’insegnamento dei saperi forensi, Bologna, Il Mulino, 2015, pp. 43 ss.

[3] P. Zallini, La dittatura del calcolo, Milano, Adelphi, 2018.

[4] D. Cardon, Che cosa sognano gli algoritmi. Le nostre vite al tempo dei big data, Milano, Mondadori Università, 2016.

[5] Nella Risoluzione del Parlamento europeo del 16 febbraio 2017 recante raccomandazioni alla Commissione concernenti norme di diritto civile sulla robotica (2015/2103(INL)), si legge testualmente:
pone l’accento sul principio della trasparenza, nello specifico sul fatto che dovrebbe sempre essere possibile indicare la logica alla base di ogni decisione presa con l’ausilio dell’intelligenza artificiale che possa avere un impatto rilevante sulla vita di una o più persone; ritiene che debba sempre essere possibile ricondurre i calcoli di un sistema di intelligenza artificiale a una forma comprensibile per l’uomo; ritiene che i robot avanzati dovrebbero essere dotati di una “scatola nera” che registri i dati su ogni operazione effettuata dalla macchina, compresi i passaggi logici che hanno contribuito alle sue decisioni”.

[6] In argomento v.: N. Srniceck, Capitalismo digitale, Roma, Luiss University press, 2017.

[7] N. Gueguen, Psicologia del consumatore, Bologna, Il Mulino, 2016. Vedi anche L. Tafaro, Neuromarketing e tutela del consenso, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 2018.

[8] https://ca-political.com/.

Ora il sito è cambiato. Ma qui riporto come appariva il sito a marzo del 2018.

[9] Per dettagli vedi questo articolo: http://www.lastampa.it/2018/09/09/italia/la-bestia-lalgoritmo-che-suggerisce-a-salvini-se-e-quanto-essere-cattivo-D3hc009TLdZLRe619D5AhI/pagina.html

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