Per “Time” Greta Thunberg è la persona dell’anno. La sedicenne attivista svedese, dopo essere riuscita a mobilitare milioni di ragazzi in tutto il mondo sull’emergenza climatica, ha conquistato la copertina del prestigioso settimanale che come sottotitolo recita: “Il potere della gioventù”.

Il pensiero di Greta può essere ricostruito leggendo i discorsi che ha pronunciato davanti ai più importanti consessi mondiali. Ad esempio quello tenuto al Summit sul clima organizzato dalle Nazioni Unite nel settembre 2019 caratterizzato dal famoso “Come osate” e che si è concluso con le parole: “Ci state deludendo e tradendo. Ma i giovani stanno iniziando a capire il vostro tradimento”. O quello che l’aveva vista protagonista alla ventiquattresima Conferenza delle Parti sul Clima (Polonia, dicembre 2018) nella quale sottolineava come la civiltà venga sacrificata per dare la possibilità a una piccola cerchia di persone di continuare ad accumulare un’enorme quantità di profitti: “La nostra biosfera viene sacrificata per far sì che le persone ricche in Paesi come il mio possano vivere nel lusso. É la sofferenza di molti a garantire il benessere a pochi”.

Si può dire che il suo pensiero ruoti intorno a due capisaldi: da un lato la contrapposizione generazionale (“Voi avete rubato i miei sogni e la mia infanzia con le vostre vuote parole”); dall’altro la stigmatizzazione della ingiustizia che però viene vista e declinata solo in relazione al tema che le sta a cuore: il clima.

Greta riscuote la simpatia di molte persone: e per la sola la capacità di risvegliare l’interesse di tanti ragazzi su argomenti di vitale importanza merita gratitudine. Ma il suo approccio rischia di essere parziale e per questo non risolutivo.

Per convincersene è sufficiente analizzare un altro modo di inquadrare il problema: quello di Papa Francesco. Anche Bergoglio è angosciato dalla crisi ambientale e climatica. Al tema egli ha dedicato l’enciclica Laudato si’ nella quale invita a riflettere sui diversi elementi di una “ecologia integrale”. Spiega Francesco: «Oggi l’analisi dei problemi ambientali è inseparabile dall’analisi dei contesti umani, familiari, lavorativi, urbani, e dalla relazione di ciascuna persona con sé stessa (n. 141). È fondamentale cercare soluzioni integrali, che considerino le interazioni dei sistemi naturali tra loro e con i sistemi sociali. Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale. Le direttrici per la soluzione richiedono un approccio integrale per combattere la povertà, per restituire la dignità agli esclusi e nello stesso tempo per prendersi cura della natura (n. 139)».

Se anche il mondo riuscisse domani mattina a ridurre drasticamente le emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera scongiurando l’incremento della temperatura globale, così come chiesto da Greta, non per questo avremmo automaticamente un pianeta più giusto: non sarebbe stata superata per sempre la logica dell’individualismo sfrenato che genera le mille diseguaglianze, né ci saremmo liberati delle tante minacce che incombono sulla nostra sopravvivenza come specie, dalle guerre nucleari e batteriologiche, all’avvento della società governata dai robot.

Greta sembra comunque figlia della cultura del “fare” che vuole risolvere problemi, almeno uno alla volta. Non c’è nulla di male in questo, anzi. Ma i problemi si risolvono davvero solo se si ha ben chiara la visione di fondo, se si è consapevoli del fatto che l’ingiustizia strutturale del mondo si combatte coltivando valori diversi da quelli che la generano.

Certo, possono esserci visioni alternative. Ma dopo il crollo delle ideologie e l’eclissi della cultura laica, la “ricetta” contenuta nella Laudato sì e, in generale, nella cosiddetta “proposta sociale” della Chiesa è tra i pochissimi esempi di “visione” che oggi si possono rinvenire: un fondamento dell’azione che può essere fatto proprio non solo dai credenti ma anche “da tutti gli uomini di buona volontà”.

Se Greta e i tanti giovani che la seguono si preoccupano del futuro del pianeta non si può che essere insieme contenti e fieri. È fondamentale, però, che essi imparino ad andare oltre il pur importante “fare qualcosa, subito”. Che imparino, cioè, a farsi guidare da un visione complessiva, che sola può garantire una soluzione giusta e duratura dei problemi. Non è facile, e un ruolo importante lo devono svolgere i processi formativi. Spetta ai Maestri insegnare a riconoscere in ogni problema gli elementi di fondo che in esso confluiscono; a riconoscere in ogni singola tessera del mosaico il quadro complessivo. Una bella metafora dice che la verità nel bosco è dare un senso a tutti gli alberi. Spesso si finisce per dare senso solo all’albero in primo piano perché non vediamo più la foresta di cui fa parte. Che c’è. Anche se non si vede. Anche se non lo sappiamo. Anche se non la vogliamo vedere.

l’Adige 17 dicembre 2019

 

 

 

 

 

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