La forza dell’umiltà

DiGiovanni Pascuzzi

21 Dicembre 2011

Come tanti, non riesco a sottrarmi all’atmosfera dei mercatini natalizi che in questo periodo animano la nostra regione. A dire il vero li visito intenzionalmente (a Trento, a Bolzano, ma anche, o forse soprattutto, nei comuni più piccoli) perché attratto dai manufatti che riproducono la scena di Betlemme. Resto conquistato dai presepi intagliati nel legno in quanto restituiscono la grandiosità della nascita (di ogni nascita) attraverso la semplicità dei materiali e la cura dei particolari. Che ci ricordano le condizioni in cui il tutto è avvenuto, a cominciare dall’umile mangiatoia.
Come spiega il «Dizionario della Bibbia» curato da Paul Achtemeier, nel mondo biblico l’umiltà è «il valore che porta le persone a mantenersi nello status sociale ereditato, specificamente non approfittandosi degli altri ed evitando anche un’apparenza di imposizione sugli altri. Le persone umili non minacciano né mettono in dubbio i diritti altrui, né pretendono per se stesse più di quello che è stato loro debitamente assegnato dalla vita».
Ancora oggi è umile chi è pienamente consapevole dei propri limiti e non si inorgoglisce per le proprie qualità, virtù, meriti personali o per i successi che consegue, né tantomeno ricerca la fama, la gloria, la ricchezza.
Forse, però, la parabola cominciata duemila anni fa ci indica anche un altro significato di umiltà.
La cosa più bella che possa capitarci è nascere e vivere. Spesso, tuttavia, vivere significa portare valigie pesanti. Lo testimoniano quanti fanno i conti con la crisi che frustra i bisogni più elementari o le storie che ascoltiamo alla maratona di Telethon. In ogni caso, nella vita di tutti ci sono fardelli che solo perché sconosciuti fanno apparire taluno meritevole di essere invidiato.
Il protagonista della Natività è famoso anche per aver detto «ama il prossimo tuo». In quella frase c’è, tra le altre cose, l’invito a mettersi nei panni dell’altro. L’invito a capire il punto di vista degli altri. Ma nei panni degli altri possiamo metterci solo se ci armiamo di umiltà. Con una conseguenza di natura pedagogica: se vivere è bello, la vita assume senso solo se cerchiamo di capire. L’umiltà è il primo ingrediente per provare a capire.
Era davvero il figlio di Dio? Per i credenti sì. Sappiamo che non ha occupato posti di potere e che ha parlato per appena tre anni. Poi è uscito di scena (il figlio di Dio avrebbe potuto evitare il finale che conosciamo). Ha fatto spazio ai giovani chiedendo loro di portare avanti le sue idee perché diventassero le idee di tutti. Non è la storia di un potente, ma è certamente la storia di un leader. Nato in una mangiatoia. Umile. Dopo duemila anni tutti, credenti e non, siamo ancora qui a fare i conti con quanto ha detto e fatto. E a cercare di capire.

Corriere del Trentino, 21 dicembre 2011

Corriere dell’Alto Adige 21 dicembre 2011

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