La formazione del giudice e la sua cultura giuridica come presupposto per la formazione di una decisione comprensibile e condivisibile

DiGiovanni Pascuzzi

8 Aprile 2024

Il 22 maggio 2023, su iniziativa del Dipartimento di Diritto privato e critica del diritto dell’Università di Padova e dell’ Ordine degli Avvocati di Padova si è svolto (presso l’Archivio Antico, Palazzo del Bo, Via VIII febbraio n. 2, Padova) il convegno dal titolo:

ANCHE LA CULTURA GIURIDICA PUÒ AIUTARE LA GIUSTIZIA? RIFLESSIONI SUL LINGUAGGIO, METODO DI COMUNICARE E DI DECIDERE DENTRO E FUORI AL “PROCESSO”.

Nell’ambito del convegno ho tenuto una relazione dal titolo:

La formazione del giudice e la sua cultura giuridica come presupposto per la formazione di una decisione comprensibile e condivisibile”.

Nell’aprile del 2024, il testo della relazione è stato pubblicato nei “QUADERNI DEL DOTTORATO IN GIURISPRUDENZA DELL’UNIVERSITÀ DI PADOVA 2023”, per i tipi di Ledizioni.

Di seguito il testo della relazione.

Giovanni Pascuzzi[i]

La formazione del giudice e la sua cultura giuridica come presupposto per la formazione di una decisione comprensibile e condivisibile[ii]

 

Parole chiave. Cultura giuridica – Formazione dei magistrati – Accesso alla magistratura – Valutazione dei magistrati – Chiarezza degli atti processuali – Processo telematico

 

Abstract. Dopo aver fornito una definizione di “cultura giuridica” e di “decisione comprensibile”, l’autore suggerisce alcune iniziative da intraprendere per migliorare la qualità delle sentenze con particolare riferimento: alla formazione e all’accesso alla magistratura; alla valutazione dei magistrati; alla digitalizzazione del processo; alle carriere dei giudici.

 

Sommario. 1. Premessa: cos’è la «cultura giuridica»? 2. Alcuni elementi per iniziare la riflessione. 2.A Le prove per l’accesso alla magistratura ordinaria. 2.B La valutazione dei magistrati. 2.C I supporti informativi offerti al giudice. 3. La decisione comprensibile. 3.A La chiarezza come problema formale. 3.B La chiarezza come problema sostanziale. 4. Come la cultura giuridica può favorire la formazione di una decisione comprensibile e condivisibile? 4.A Sul piano della formazione e dell’accesso Per una cultura giuridica a 360 gradi. 4.B Sul piano della valutazione. 4.C Sul piano della digitalizzazione. 4.D Sul piano delle carriere. 5. Cos’è la «cultura giuridica» (dei giuristi o interna)?

 

1. Premessa: cos’è la «cultura giuridica»?

Nel titolo del convegno e nel titolo della relazione compare l’espressione «cultura giuridica».

Ma cosa intendiamo per cultura giuridica?

In via di prima approssimazione possiamo dire che:

  1. La cultura giuridica è un concetto diverso tanto dalla (mera) conoscenza delle leggi quanto dalla (mera) conoscenza del diritto.
  2. Ricomprende (ma non è limitata ad) altre “culture”: la cultura della giurisdizione; la cultura della legalità; la cultura istituzionale (almeno in parte).
  3. Si deve distinguere tra una cultura giuridica “interna” (dei giuristi), che si può definire “cultura del diritto” e una cultura giuridica “esterna” (della cittadinanza in generale) che si può definire “cultura sul diritto”[iii].

2. Alcuni elementi per iniziare la riflessione.

Per ragionare sul tema che mi è stato assegnato conviene partire da tre elementi utili a comprendere quale sia lo “stato dell’arte”, nel nostro paese, circa la formazione del giudice e la sua cultura.

Tali elementi sono: a) le prove per l’accesso alla magistratura ordinaria; b) la valutazione dei magistrati; c) i supporti informativi offerti al magistrato per svolgere il proprio lavoro.

 

2.A Le prove per l’accesso alla magistratura ordinaria.

L’art. 1 del d. lgs. 160/2006[iv] stabilisce che la nomina a magistrato ordinario si consegue mediante un concorso per esami[v].

Il comma 2 della norma citata chiarisce che il concorso per esami consiste in una prova scritta e in una prova orale.

La prova scritta consiste nello svolgimento di tre elaborati teorici, rispettivamente vertenti sul diritto civile, sul diritto penale e sul diritto amministrativo (comma 3, della norma in esame).

Mentre la prova orale verte su: diritto civile ed elementi fondamentali di diritto romano; procedura civile; diritto penale; procedura penale; diritto amministrativo, costituzionale e tributario; diritto commerciale e fallimentare; diritto del lavoro e della previdenza sociale; diritto comunitario; diritto internazionale pubblico e privato; elementi di informatica giuridica e di ordinamento giudiziario; colloquio su una lingua straniera, indicata dal candidato all’atto della domanda di partecipazione al concorso, scelta fra le seguenti: inglese, spagnolo, francese e tedesco (comma 4 della norma in esame).

Osservando le norme che disciplinano l’accesso alla magistratura ordinaria osserviamo che:

  1. Sono previste solo due tipi di prove: prova scritta e prova orale. Tali prove servono a valutare il possesso del «sapere dichiarativo» e non di altri saperi che pure sono importanti nella formazione delle diverse figure professionali[vi].
  2. Viene richiesta la conoscenza di un numero cospicui di “diritti” (civile, penale, etc), ovvero di contenuti meramente disciplinari. Ancora una volta, il sapere dichiarativo.

iii. Non viene valutato il possesso di «altri saperi»: la capacità di risolvere problemi (problem solving giuridico[vii]); il saper giudicare; il saper decidere; il saper escutere un testimone e valutarne l’attendibilità; il saper gestire l’udienza e l’organizzazione delle attività. Nessun riferimento esplicito è fatto alla verifica della conoscenza dei profili deontologici ed etici del lavoro del magistrato[viii].

2.B La valutazione dei magistrati.

L’art. 11 del già citato d. lgs. 160/2006 stabilisce che tutti i magistrati sono sottoposti a valutazione di professionalità ogni quadriennio a decorrere dalla data di nomina fino al superamento della settima valutazione di professionalità.

La valutazione di professionalità riguarda la capacità, la laboriosità, la diligenza e l’impegno. Essa è operata secondo parametri oggettivi che sono indicati dal Consiglio superiore della magistratura[ix]. La valutazione di professionalità riferita a periodi in cui il magistrato ha svolto funzioni giudicanti o requirenti non può riguardare in nessun caso l’attività di interpretazione di norme di diritto, né quella di valutazione del fatto e delle prove.

Il secondo comma della norma in esame definisce le nozioni di capacità, laboriosità, diligenza e impegno. In particolare:

a) la capacità, oltre che alla preparazione giuridica e al relativo grado di aggiornamento, è riferita, secondo le funzioni esercitate, al possesso delle tecniche di argomentazione e di indagine, anche in relazione all’esito degli affari nelle successive fasi e nei gradi del procedimento e del giudizio ovvero alla conduzione dell’udienza da parte di chi la dirige o la presiede, all’idoneità a utilizzare, dirigere e controllare l’apporto dei collaboratori e degli ausiliari;

b) la laboriosità è riferita alla produttività, intesa come numero e qualità degli affari trattati in rapporto alla tipologia degli uffici e alla loro condizione organizzativa e strutturale, ai tempi di smaltimento del lavoro, nonché all’eventuale attività di collaborazione svolta all’interno dell’ufficio, tenuto anche conto degli standard di rendimento individuati dal Consiglio superiore della magistratura, in relazione agli specifici settori di attività e alle specializzazioni;

c) la diligenza è riferita all’assiduità e puntualità nella presenza in ufficio, nelle udienze e nei giorni stabiliti; è riferita inoltre al rispetto dei termini per la redazione, il deposito di provvedimenti o comunque per il compimento di attività giudiziarie, nonché alla partecipazione alle riunioni previste dall’ordinamento giudiziario per la discussione e l’approfondimento delle innovazioni legislative, nonché per la conoscenza dell’evoluzione della giurisprudenza;

d) l’impegno è riferito alla disponibilità per sostituzioni di magistrati assenti e alla frequenza di corsi di aggiornamento organizzati dalla Scuola superiore della magistratura; nella valutazione dell’impegno rileva, inoltre, la collaborazione alla soluzione dei problemi di tipo organizzativo e giuridico.

Di recente, l’articolo 3 della legge 71/2022[x] ha stabilito (comma 1, lettera h) che ai fini delle valutazioni di professionalità di cui all’articolo 11 del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, e ai fini delle valutazioni delle attitudini per il conferimento degli incarichi di cui all’articolo 2 della stessa legge 71/2022 occorre: i. prevedere l’istituzione del fascicolo per la valutazione del magistrato, contenente, per ogni anno di attività, i dati statistici e la documentazione necessari per valutare il complesso dell’attività svolta, compresa quella cautelare, sotto il profilo sia quantitativo che qualitativo, la tempestività nell’adozione dei provvedimenti, la sussistenza di caratteri di grave anomalia in relazione all’esito degli atti e dei provvedimenti nelle fasi o nei gradi successivi del procedimento e del giudizio, nonché ogni altro elemento richiesto ai fini della valutazione; ii. stabilire un raccordo con la disciplina vigente relativa al fascicolo personale del magistrato.

Osservando le norme che disciplinano la valutazione dei magistrati ordinari osserviamo che:

1.Un sistema di valutazione è necessario: esempi di persone non all’altezza del ruolo o inclini a disattendere i propri doveri esistono in ogni categoria professionale. Ma quello attualmente in vigore per i magistrati sembra privilegiare l’aspetto quantitativo rispetto a quello qualitativo (si veda lo spasmodico ricorso alle cosiddette statistiche).

2. Il rischio è quello di trasformare il magistrato in un burocrate senza più alcuna motivazione ideale per il quale le cause sono solo pratiche da sbrigare.

3. Molti sono indotti a credere che l’importante sia avere una sentenza indipendentemente da quale essa sia: un’idea che non coincide con quella di giustizia.

4.Un sistema di valutazione non appagante rischia di demotivare i magistrati migliori e di rendere appetibile la professione unicamente a quelli che cercano un “buon impiego”[xi].

 

2.C I supporti informativi offerti al giudice.

Un tempo il lavoro di documentazione del giudice (inteso come reperimento delle fonti di cognizione del lavoro di giudicare) era basato unicamente su materiale cartaceo: raccolte di leggi, repertori e riviste di giurisprudenza, riviste di dottrina, libri specializzati.

La rivoluzione digitale ha cambiato questo scenario[xii]. Oggi il magistrato può disporre di strumenti informatici e dell’accesso a numerose banche dati giuridiche.

Faccio un esempio che mi riguarda ed immagino che quando dirò valga, con piccole varianti, anche per le altre giurisdizioni.

Il giudice amministrativo ha accesso alle seguenti banche dati:

– sito della Giustizia amministrativa[xiii] (dove vengono pubblicate tutte le sentenze dei Tar e del Consiglio di Stato);

– Gazzetta Ufficiale;

– Wolter-Kluwer editore;

– Giuffrè editore;

– Giustamm[xiv];

– LexItalia[xv];

– Il Sole24Ore;

– Il Foro italiano;

– ItalgiureWeb.

Osservando le banche dati che l’amministrazione mette a disposizione del giudice per la sua attività di documentazione osserviamo che:

  1. Sono solo banche dati italiane. Eppure è di fondamentale importanza conoscere legislazione, dottrina e giurisprudenza anche di altri ordinamenti. Quanto meno quelli europei. Non mi riferisco alle banche dati che riproducono il diritto europeo (come Eur-Lex[xvi]) ma alle banche dati dei diversi paesi dove il diritto UE viene applicato. Utile sarebbe poter disporre anche di banche dati extraeuropee (come Lexis-Nexis[xvii]), visto che “dialogo tra le Corti” è sempre più auspicato.
  2. Sono solo banche dati giuridiche. Eppure spesso il giudice e chiamato a cimentarsi con altre discipline (tutte le volte, ad esempio, in cui è necessario nominare un consulente tecnico o un verificatore). Se il giudice, ad esempio, deve pronunciarsi su un caso di “obsolescenza programmata” può essergli utile consultare riviste specializzate in informatica (non certo per inventarsi informatico o per diventare tuttologo, ma per comprendere almeno le linee generali dei fenomeni e dei problemi anche al solo fine di porre domande efficaci e utili al consulente tecnico).

3. Non ci sono banche dati “culturali”, di letteratura e di saggistica in generale, che pure oggi sono offerte a prezzi accessibili da molti editori. L’idea è che il giudice debba sapere solo di diritto e che non sia necessario che abbia una cultura più vasta. Una visione non molto lungimirante.

 

3. La decisione comprensibile.

Nel titolo della mia relazione si evoca la «decisione comprensibile e condivisibile».

Ma cosa si intende per comprensibilità?

Comprensibile è ciò che è chiaro. E non a caso la necessità di chiarezza è imposta dallo stesso diritto positivo.

A seguito della recente riforma (introdotta dal d. lgs. 149/2022), l’articolo 121 del codice di procedura civile contiene un nuovo inciso finale che recita: «Tutti gli atti del processo sono redatti in modo chiaro e sintetico».

L’obbligo esplicito di redigere in maniera chiara gli atti del processo è (da più tempo) contenuto anche nel codice del processo amministrativo (d. lgs. 104/2020) il cui articolo 3, comma 2, recita: «Il giudice e le parti redigono gli atti in maniera chiara e sintetica, secondo quanto disposto dalle norme di attuazione». L’importanza dell’obbligo in parola è tale che il giudice, quando provvede sulle spese del giudizio, deve tener conto anche del rispetto dei principi di chiarezza e sinteticità di cui al citato art. 3, comma 2 (cfr. art. 26 del codice del processo amministrativo).

Il Consiglio di Stato ha spiegato che la chiarezza e specificità degli scritti difensivi (ed in particolare dei motivi) si riferiscono all’ordine delle questioni, al linguaggio da usare, alla correlazione logica con l’atto impugnato (sentenza o provvedimento che sia), alle difese delle controparti; ne consegue che è onere della parte ricorrente operare una sintesi del fatto sostanziale e processuale, funzionale alla piena comprensione e valutazione delle censure, così evitando la prolissità e la contraddittoria commistione fra argomenti, domande, eccezioni e richieste istruttorie.

La Corte di Cassazione, dal canto suo, ha ribadito che il mancato rispetto del dovere di chiarezza (e sinteticità) espositiva degli atti processuali comporta per il ricorrente il rischio di una declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione in quanto pregiudica l’adeguata intellegibilità delle questioni, qualora renda effettivamente oscura l’esposizione dei fatti di causa e così confuse le censure mosse alla sentenza gravata, ridondando nella violazione delle prescrizioni di cui ai nn. 3 e 4 dell’art. 366 c.p.c., assistite da una sanzione testuale di inammissibilità.

 

3.A La chiarezza come problema formale.

Da tempo e da più parti si usa sottolineare l’oscurità ovvero la scarsa comprensibilità del «giuridichese». Bice Mortara Garavelli ha scritto[xviii]: «I testi giuridici raramente e solo saltuariamente appaiono privi di espressioni desuete, di modi di dire congelati in uno specialismo che non è quello, inevitabile e ineliminabile, del lessico tecnico del settore, ma è invece frutto, abnorme e resistente, dell’assuefazione a una stereotipia tramandata come un marchio di fabbrica».

Ecco, quindi, che negli ultimi tempi si è assistito ad un fiorire di studi e manuali confezionati per dare consigli utili a rendere la scrittura giuridica più chiara e comprensibile.

Cito per tutti il «Breviario per una buona scrittura» elaborato dal «Gruppo di lavoro sulla chiarezza e la sinteticità degli atti processuali» insediato presso il Ministero della Giustizia[xix].

Tra i suggerimenti figurano: non scrivere frasi più lunghe di un certo numero di caratteri; non usare troppe subordinate; e così via.

In generale possiamo dire che una buona scrittura presuppone:

a) la conoscenza del processo (riguarda la definizione di obiettivi, il monitoraggio e la valutazione di come ci si sta avvicinando ad essi, la realizzazione dei cambiamenti necessari);

b) la conoscenza del prodotto (attiene la consapevolezza dei vari tipi, strutture e organizzazioni del testo, data dalla conoscenza di come si sviluppano frasi e paragrafi, delle funzioni di un testo in generale e in un determinato contesto sociale contraddistinto da un obiettivo specifico e da un particolare uditorio).

In ogni caso, la produzione di un testo chiaro nasce dal possesso di tre specifiche competenze:

a) la competenza sintattica: si riferisce all’aspetto formale del messaggio e riguarda la capacità di produrre frasi formalmente corrette e di comprenderle come tali in base alle regole grammaticali;

b) la competenza semantica: riguarda la capacità di associare le parole (significanti) agli oggetti, eventi o situazioni (significati) cui corrispondono;

c) la competenza pragmatica: attiene alla capacità di comunicare tenendo conto del contesto in cui avviene la comunicazione.

 

3.B La chiarezza come problema sostanziale.

Ma c’è anche un altro profilo della chiarezza che attiene alla sostanza delle cose che si desidera comunicare. Possono esserci testi sintatticamente, semanticamente e pragmaticamente perfetti ma totalmente inidonei a raggiungere lo scopo per il quale sono redatti.

Buona parte degli atti processuali espongono ragionamenti giuridici e l’esposizione del ragionamento giuridico è anche un problema di costruzione del testo. La costruzione del testo mira a rendere il più possibile esplicita l’interrelazione delle idee, dei dati, dei pensieri che giocano un ruolo nel ragionamento giuridico. La costruzione del testo richiede al soggetto di compiere due operazioni: enucleare gli elementi di base da porre in relazione e imbastire (anche implicitamente) legami associativi tra essi.

Ecco che la chiarezza deve investire non solo la forma ma anche (e, soprattutto) la sostanza dell’atto processuale:

– chiara deve essere l’enunciazione dei fatti rilevanti e la loro interpretazione;

– chiara deve essere l’individuazione del problema giuridico;

– chiara deve essere l’individuazione delle regole operazionali applicabili al problema;

– chiara deve essere la soluzione proposta per il problema giuridico (raggiunta attraverso il ragionamento).

Numerose norme dettate in materia processuale costituiscono la ricaduta concreta di quanto appena detto.

Di seguito vengono richiamati alcuni articoli del codice di procedura civile (si fa riferimento al testo post riforma Cartabia: d. lgs. 10 ottobre 2022 n. 149).

L’articolo 163, nel fissare il contenuto dell’atto di citazione, stabilisce che esso deve contenere «l’esposizione in modo chiaro e specifico dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni».

L’articolo 342, a proposito della forma dell’appello, stabilisce quanto segue: «L’appello si propone con citazione contenente le indicazioni prescritte nell’articolo 163. L’appello deve essere motivato, e per ciascuno dei motivi deve indicare a pena di inammissibilità, in modo chiaro, sintetico e specifico: 1) il capo della decisione di primo grado che viene impugnato; 2) le censure proposte alla ricostruzione dei fatti compiuta dal giudice di primo grado; 3) le violazioni di legge denunciate e la loro rilevanza ai fini della decisione impugnata».

L’articolo 366, in materia di contenuto del ricorso per Cassazione stabilisce che lo stesso deve contenere, a pena di inammissibilità (tra gli altri elementi): «…3. la chiara esposizione dei fatti della causa essenziali alla illustrazione dei motivi di ricorso; 4. la chiara e sintetica esposizione dei motivi per i quali si chiede la cassazione, con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano…».

Approcci analoghi si ritrovano nel processo amministrativo.

L’articolo 40 del d. lgs. 104/2010 stabilisce che il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado deve «contenere distintamente: … c. l’esposizione sommaria dei fatti; d. i motivi specifici su cui si fonda il ricorso…».

L’art. 101, nel fissare il contenuto del ricorso in appello, afferma che quest’ultimo deve riportare, tra l’altro: «…l’esposizione sommaria dei fatti, le specifiche censure contro i capi della sentenza gravata, le conclusioni…».

 

4.Come la cultura giuridica può favorire la formazione di una decisione comprensibile e condivisibile?

Senza alcuna pretesa di esaustività, si elencano di seguito alcune proposte che, facendo leva su una nozione allargata di “cultura giuridica”, potrebbero migliorare la qualità delle sentenze.

4.A Sul piano della formazione e dell’accesso Per una cultura giuridica a 360 gradi.

  1. Occorre superare la logica delle «materie». Le discipline universitarie (Settori scientifico disciplinari) sono concepite per governare la carriera dei professori[xx]. La formazione (e l’interesse di chi apprende) è altra cosa. Questo vale a maggior ragione: a) per la formazione post lauream; b) per l’accesso alla magistratura (e alle altre professioni giuridiche). Un giudice deve saper decidere e giudicare indipendentemente dalla materia (la conoscenza della disciplina è necessaria, ma è solo uno dei presupposti).

2. Occorre porre in esponente l’insegnamento/apprendimento del «saper fare» il giudice. Occorre insegnare saperi (non riconducibili al concetto di “materia”) come: Costruzione di significati (interpretazione); Problem solving giuridico (applicare regole a problemi); Saper giudicare; Saper decidere; Saper scrivere; Creatività del giurista[xxi].

 3.Occorre porre in esponente l’insegnamento/apprendimento del «saper essere» giudice. Occorre insegnare saperi come: Deontologia; Responsabilità connesse al ruolo; Atteggiamenti (verso i colleghi, verso i collaboratori, verso gli avvocati); Saper comprendere e valutare le conseguenze della propria decisione.

4. Occorre rifuggire da un’idea di cultura giuridica ripiegata esclusivamente su se stessa. Per questo deve essere valorizzata l’interdisciplinarità: tra le materie giuridiche e tra il diritto e gli altri saperi. Di qui il riferimento che si è fatto alla necessità di mettere a disposizione del giudice anche banche dati straniere e banche dati non giuridiche. Comprendere il distillato di altri campi del sapere serve a decidere (es.: antitrust, dove il diritto si intreccia con l’economia) ma anche a porre le domande giuste al consulente e a «leggere» le consulenze. Il giudice (e il giurista in generale) deve essere un intellettuale a tutto tondo.

 

4.B Sul piano della valutazione.

La cultura giuridica non può affidarsi alla logica «quantitativa» che deve essere abbandonata. Mettere l’accento sulle «statistiche» lancia al giudice un segnale chiaro: da lui ci si aspetta solo che scriva il maggior numero di sentenze possibile. Al contrario, bisognerebbe fissare il limite massimo di provvedimenti che un giudice può scrivere in un anno.

La cultura giuridica deve coltivare la logica «qualitativa», impegnandosi a fissare i parametri («indicatori») che definiscano la «buona sentenza».

 

4.C Sul piano della digitalizzazione.

La cultura giuridica deve trarre il meglio dalla rivoluzione digitale.

Da tempo il processo telematico è (o dovrebbe essere) realtà.

È allora lecito chiedersi se la rivoluzione digitale possa apportare un contributo positivo nell’assicurare la chiarezza degli atti processuali (tanto delle parti quanto dei giudici).

Certamente la redazione degli atti in forma digitale può favorire la «leggibilità» e, quindi, la chiarezza. Non mi riferisco solo aI tipo di carattere e alla formattazione che pure possono migliorare la fruibilità visiva. Il testo elettronico rende agevole introdurre immagini (es.: planimetrie o fotografie dello stato dei luoghi), note a piè di pagina e link: tutti strumenti utili, se accortamente usati, a rendere più chiaro il messaggio che si intende comunicare.

Ma gli strumenti tecnologici possono propiziare risultati molto più appaganti.

Per indicare come, prendo le mosse da un principio spesso ribadito dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato.

Nel processo amministrativo di appello, l’inammissibilità dei motivi di ricorso non consegue solo al difetto di specificità, ma anche alla loro mancata indicazione, “distintamente”, in apposita parte dedicata a tale elemento del ricorso (sia esso di primo grado o d’appello), di cui i motivi costituiscono il nucleo essenziale e centrale. Lo scopo delle disposizioni è di incentivare la redazione di ricorsi dal contenuto chiaro e di porre argine ad una prassi in cui i ricorsi, non di rado, oltre ad essere poco sintetici, non contengono una esatta suddivisione tra ‘fatto’ e ‘motivi’, con il conseguente rischio che trovino ingresso i c.d. ‘motivi intrusi’, ossia i motivi inseriti nelle parti del ricorso dedicate al fatto, che, a loro volta, ingenerano il rischio della pronuncia di sentenze che non esaminino tutti i motivi per la difficoltà di individuarli in modo chiaro e univoco e, di conseguenza, incorrano in un vizio revocatorio.

Attualmente il processo telematico è sinonimo di deposito telematico degli atti processuali. In altre parole: il difensore (come, del resto, il giudice) redige un testo, lo salva in formato pdf e poi lo carica sulla piattaforma. Tale testo può contenere qualsiasi cosa, ovvero può essere privo di qualcuno degli elementi necessari individuati nelle norme processuali prima richiamate.

Forse si potrebbe fare un passo in più (magari in via sperimentale).

La piattaforma anziché limitarsi a ricevere passivamente documenti in formato pdf, potrebbe mettere a disposizione dell’utente un modello da compilare a video (un “form”) che contenga dei “campi” che devono essere necessariamente compilati (anche come premessa per poter effettivamente inviare l’atto).

Tali campi, oltre a riguardare informazioni “formali” (come: il giudice adito, il nome delle parti, il nome dei difensori, e così via) dovrebbero essere intitolati agli elementi “sostanziali”, ovvero quegli elementi in cui si articola il ragionamento giuridico che si vuole rappresentare e che le stesse norme processuali prima viste individuano.

Così il modello per l’atto di citazione nel processo civile dovrebbe prevedere: a. un campo per l’esposizione dei fatti; b. un campo per l’esposizione degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda; c. un campo con le conclusioni; e così via.

Il modello per il ricorso per Cassazione dovrebbe prevedere: a. un campo dove esporre i fatti della causa essenziali alla illustrazione dei motivi di ricorso; b. un campo (per ognuno dei motivi) dove esporre i motivi per i quali si chiede la cassazione, con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano; e così via.

Il modello per il ricorso in appello in Consiglio di Stato dovrebbe contenere un campo per ogni motivo di appello contenente le censure rivolte al ragionamento seguito dal giudice di primo grado, e così via.

Il processo telematico, in altri termini, potrebbe essere strutturato in modo da guidare l’utente nella redazione dell’atto (è anche possibile ipotizzare che la tanto evocata “intelligenza artificiale” possa, un domani, spiegare perché una determinata formulazione dell’atto non risponde ai dettati delle norme processuali).

L’obiettivo vero è, però, proprio quello della chiarezza in senso sostanziale ovvero rendere chiare l’enunciazione dei fatti, l’individuazione del problema giuridico, l’individuazione delle regole operazionali applicabili al problema, la soluzione proposta[xxii].

 

4.D Sul piano delle carriere.

La cultura giuridica deve essere comune alle diverse professioni legali. Per questo occorre favorire il più possibile il passaggio delle carriere: tra magistrature e tra professioni legali (Università).

5. Cos’è la «cultura giuridica» (dei giuristi o interna)?

Concludo tornando alla domanda dalla quale sono partito.

La cultura giuridica è l’insieme dei saperi espressi e taciti (nella loro dimensione diacronica, transnazionale e digitale) della comunità di pratica dei giuristi ovvero di tutti coloro che si dedicano alle attività professionali riguardanti la formazione, l’applicazione, l’esposizione e la trasmissione del diritto.

La cultura giuridica è premessa e strumento perché possa realizzarsi la giustizia (sociale e del caso concreto).

La formazione del giudice (i.e.: del giurista) e la redazione delle sentenze non deve mai perdere di vista il fine: la giustizia. Non bisogna perseguire una decisione, quale che sia, tra tante, ma una decisione frutto di una solida cultura giuridica che assicuri giustizia.

 

NOTE

[i] Giovanni Pascuzzi è Consigliere di Stato, già Professore ordinario di Diritto privato comparato nell’Università di Trento.

[ii] Relazione al convegno: «Anche la cultura giuridica può aiutare la giustizia? Riflessioni sul linguaggio, metodo di comunicare e di decidere dentro e fuori al “processo”» – Università di Padova – Dipartimento di Diritto privato e critica del diritto – 22 maggio 2023.

[iii] L.M. Friedman, The legal system. A social science perspective, New York 1975 (tr. it.: Il sistema giuridico nella prospettiva delle scienze sociali, Bologna, Il Mulino, 1978).

[iv] Decreto legislativo 05/04/2006, n. 160, Nuova disciplina dell’accesso in magistratura, nonché in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera a), della legge 25 luglio 2005, n. 150.

[v] Ogni sistema di valutazione retroagisce sui comportamenti del soggetto valutato. Provo a fare un esempio noto a chi ha frequentato l’Università. Spesso gli studenti che devono sostenere un esame seguono intere sessioni di quell’esame e trascrivono le domande poste dai professori e il tipo di risposte considerate soddisfacenti. Si cerca, attraverso questa defatigante attività, di affinare la preparazione alla luce delle domande che vengono chieste. Insomma, poiché l’obiettivo è superare l’esame, l’insieme degli sforzi tesi all’apprendimento si riduce a conoscere tutto ciò che permette di raggiungere quel risultato. Ecco, allora, che le modalità di verifica della preparazione retroagiscono sui contenuti della preparazione stessa.

[vi] Sulla distinzione tra sapere dichiarativo e sapere procedurale e sulle prove valutative diverse dalla prova scritta e dalla prova orale si rinvia a G. Pascuzzi, Avvocati formano avvocati, Bologna, Il Mulino, 2015.

[vii] G. Pascuzzi, Il problem solving nelle professioni legali, Bologna, Il Mulino, 2017.

[viii] L’accesso alla carriera di magistrato amministrativo (Decreto Presidente della Repubblica 21/04/1973, n. 214, Regolamento di esecuzione della L. 6 dicembre 1971, n. 1034, istitutiva dei tribunali amministrativi regionali) e di Consigliere di Stato (Decreto Presidente della Repubblica 17 gennaio 1983, n. 68, Modalità di svolgimento del concorso a Consigliere di Stato) ha le medesime caratteristiche di fondo illustrate nel testo.

[ix] Cfr: Circolare n. 20691 del 2007 (Criteri per la valutazione di professionalità dei magistrati a seguito della legge 30 luglio 2007 n. 111 recante modifiche alle norme sull’ordinamento giudiziario); Circolare n. 16754 del 2008 (Circolare sull’acquisizione dei provvedimenti e verbali di udienza a campione); Circolare n. 4718 del 2009 (Circolare sulla tenuta dei fascicoli personali dei magistrati).

La normativa secondaria che disciplina le valutazioni di professionalità può essere reperita a questo indirizzo https://www.csm.it/web/csm-internet/norme-e-documenti/atti-consiliari/circolari/quarta-commissione.

[x] Legge 17/06/2022, n. 71, Deleghe al Governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario e per l’adeguamento dell’ordinamento giudiziario militare, nonché disposizioni in materia ordinamentale, organizzativa e disciplinare, di eleggibilità e ricollocamento in ruolo dei magistrati e di costituzione e funzionamento del Consiglio superiore della magistratura.

[xi] In argomento è utile segnalare lo studio condotto dal gruppo della cattedra di Sociologia del diritto del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Torino, «Una ricerca sulla cultura giuridica dei giovani magistrati», che sarà pubblicato sul numero 4/2023 della rivista «Questione giustizia». Un’anticipazione dei risultati si può leggere nell’articolo di C. Sarzotti, La cultura giuridica della magistratura italiana all’alba del nuovo millennio: primi spunti di riflessione storico-sociologica, reperibile all’indirizzo https://www.questionegiustizia.it/articolo/cultura-giuridica-magistratura. Per un approfondimento sulla metodologia usata nello studio si veda C. Agnella, Una ricerca sulla cultura giuridica dei giovani magistrati: nota metodologica, reperibile all’indirizzo https://www.questionegiustizia.it/articolo/nota-metodologica.

[xii] G. Pascuzzi, Il diritto dell’era digitale, Bologna, Il Mulino, 2020.

[xiii] https://www.giustizia-amministrativa.it/web/guest/dcsnprr

[xiv] https://www.giustamm.it/

[xv] https://lexitalia.it/a/

[xvi] https://eur-lex.europa.eu/homepage.html?locale=it

[xvii] https://signin.lexisnexis.com/

[xviii] B. Mortara Garavelli, Le parole e la giustizia, Torino, Einaudi, 2001, p. 153-154.

[xix] Il documento è datato 16 febbraio 2018 ed è facilmente reperibile su Internet.

Mette conto notare che il problema dell’oscurità del linguaggio: a) riguarda in generale il linguaggio amministrativo (M. A. Cortelazzo, Il linguaggio amministrativo. Principi e pratiche di modernizzazione, Roma, Carocci, 2021); b) non è un problema solo italiano (B. A. Garner, Legal writing in plain english, Chicago, The University of Chicago Press, 2001).

[xx] G. Pascuzzi, Una storia italiana: i settori scientifico-disciplinari, in Materiali per una storia della cultura giuridica, 2012, pp. 91-122.

[xxi] G. Pascuzzi, La creatività del giurista. Tecniche e strategie dell’innovazione giuridica, Bologna, Zanichelli, 2018.

[xxii] In argomento si vedono l’articolo 46 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, comma 3, (comma aggiunto dall’art. 4, comma 3, lett. b), n. 3), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, a decorrere dal 18 ottobre 2022, ai sensi di quanto disposto dall’art. 52, comma 1, del medesimo d.lgs. n. 149/2022) e il Decreto ministeriale 7 agosto 2023 n. 1101 (Regolamento per la definizione dei criteri di redazione, dei limiti e degli schemi informatici degli atti giudiziari con la strutturazione dei campi necessari per l’inserimento delle informazioni nei registri del processo, ai sensi dell’articolo 46 delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile). Tale Decreto ministeriale disciplina anche gli schemi informatici degli atti giudiziari e statuisce che gli atti di citazione e i ricorsi, le comparse di risposta e le memorie difensive, nonché gli atti di intervento devono essere redatti secondo una precisa articolazione che comprenda, tra gli altri elementi: «esposizione distinta e specifica, in parti dell’atto separate e rubricate, dei fatti e dei motivi in diritto, nonché, quanto alle impugnazioni, individuazione dei capi della decisione impugnati ed esposizione dei motivi». Pare di capire che gli schemi informatici dovranno contenere dei “campi” che attengono alla chiarezza sostanziale dell’atto processuale.

Più d’uno potrebbe arricciare il naso nel leggere questa proposta pensando che la sua attuazione sarebbe un modo per ingessare l’attività del difensore e del giudice fino a giungere a processi che si identificano in vuoti e ripetitivi formulari.

Avendo dedicato molti studi alla creatività del giurista, credo di essere ben conscio dell’importanza del ruolo di avvocati e giudici nel garantire l’evoluzione del diritto (anche al di là dei mutamenti legislativi) grazie proprio all’elaborazione concettuale resa possibile dalle dinamiche processuali.

La proposta di introdurre moduli con campi da riempire (il cui uso potrebbe essere meramente opzionale) non riguarda i contenuti che non possono che essere assolutamente liberi bensì la griglia concettuale da seguire nell’esposizione del ragionamento giuridico in modo che sia chiaro (a chi legge, ma ancor prima a chi scrive) quali siano: il problema giuridico, la regola che lo governa, la soluzione raggiunta al termine del ragionamento.

La proposta formulata nel testo potrebbe indurre taluno a credere che la stessa si muova sulla falsariga di quanto previsto (nel triennio 2006-2009) dall’art. 366-bis del codice di procedura civile. Detta norma (che non ha avuto molta fortuna visto che fu introdotta dall’art. 6, d. lgs. 2 febbraio 2006 n. 40 e poi abrogata dalla lettera d) del comma 1 dell’art. 47, della l. 18 giugno 2009 n. 69) prevedeva che nel ricorso per Cassazione l’illustrazione di ciascun motivo dovesse concludersi a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto. Non è così.

Innanzitutto si propone un uso opzionale dei “campi sostanziali” escludendo sanzioni di inammissibilità diverse da quelle ordinariamente previste dalla legge processuale.

In ogni caso, l’obiettivo, si è detto, è la maggiore chiarezza. E in tale direzione certamente aiuta una precisa definizione degli elementi su cui si basa il ragionamento tanto dell’avvocato che del giudice, elementi tra i quali non può mancare l‘indicazione delle regole operazionali utili a giustificare la soluzione suggerita e accolta.

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