Il procuratore della Giudea, di Anatole France

DiGiovanni Pascuzzi

4 Aprile 2021

Nell’ampia letteratura su Ponzio Pilato un posto particolare merita “Il procuratore della Giudea”, scritto, nel 1902, da Anatole France, premio Nobel per la letteratura nel 1921.

Il testo, di poche pagine, (edito in Italia da Sellerio, con una nota di Leonardo Sciascia) ci offre un punto di vista diverso sul magistrato romano che ebbe un ruolo nel processo a Gesù.

Anatole France tratteggia un Ponzio Pilato, il procuratore della Giudea, appunto, ormai anziano mentre incontra Lucio Elio Lamia, che aveva conosciuto alcuni decenni prima nei territori siriani.

Pilato riavvolge il nastro dei ricordi, racconta la frustrazione di non veder riconosciuti i meriti del suo governo e si abbandona alla tristezza dettata dalla consapevolezza che nessuno difenderà la sua memoria. La quasi totale responsabilità di quanto gli è accaduto egli attribuisce agli ebrei, al loro carattere, alle difesa delle loro usanze, alla loro indomabilità.

Quando, a propria volta, prende la parola, Lamia racconta della bellezza delle donne di Siria incontrate tanti anni prima. Aveva anche perso la testa per una giovane donna ebrea di Gerusalemme, che però un giorno non vide più. Seppe per caso che si era unita ad un gruppo di uomini e donne che seguivano un giovane taumaturgo della Galilea.

Lamia chiede: “Si faceva chiamare Gesù il Nazareno e fu crocefisso non ricordo per quale delitto. Ponzio, ti ricordi di quest’uomo?”

“Gesù?” mormorò Ponzio Pilato, “Gesù il Nazareno? No, non ricordo”.

E lì, su quella affermazione che chiude il racconto, il lettore resta di stucco.

Ma come è possibile: Ponzio Pilato, ormai in la negli anni, non ricorda Gesù? Dove è finito il Pilato della notte del processo descritto da Aldo Schiavone (“Ponzio Pilato. Un enigma tra storia e memoria”, Einaudi)? O il Pilato immaginato da Eric-Emmanuel Schmitt (“Il Vangelo secondo Pilato”, San Paolo edizioni) che resta colpito dalla conversione della propria moglie?

Nulla di tutto questo. Anatole France ci mostra un Pilato che da vecchio non ricorda o dice di non ricordare Gesù.

Ci sono tre possibilità.

La prima è che Pilato non serbi ricordo perché per lui Gesù era stato solo una delle tante “pratiche da sbrigare” nel suo ruolo di procuratore della Giudea. Non un snodo della storia. Non il protagonista di un disegno divino che per realizzarsi aveva bisogno dello stesso “pilatesco” atteggiamento di Pilato. Solo uno degli innumerevoli casi che gli erano passati davanti al punto da non serbarne ricordo. Pilato può davvero non ricordare senza lontanamente immaginare che proprio per quell’uomo, un dettaglio per lui insignificante, sarebbe stato sottratto all’oblio nei secoli a venire.

Un’altra possibilità è che Pilato avesse conosciuto bene Gesù e che ne avesse serbato a lungo il ricordo ma che poi quel ricordo avesse rimosso. La rimozione è un meccanismo molto conosciuto in psicoanalisi. Uno strumento di difesa che serve ad allontanare o a modificare i ricordi e i pensieri considerati intollerabili, la cui presenza provoca ansia ed angoscia. Pilato, con l’andare degli anni, avrebbe potuto ripensare a lungo a quell’episodio, potrebbe essersi reso conto di aver rinunciato a sottrarre una persona ad una condanna ingiusta ed aver visto crescere in se il rimorso per non essersi dimostrato all’altezza del ruolo di giudice ovvero di aver barattato l’ideale di giustizia con la convenienza politica. Nel tempo questo ricordo può essere diventato sempre più insopportabile fino al definitivo corto circuito: il suo cervello lo ha rimosso per evitare il dolore.

Un’ulteriore possibilità è che Pilato menta a Lucio Elio Lamia: egli ricorda perfettamente Gesù ma afferma il contrario. Perché vuole eludere ulteriori domande, o non gli va di ricordare in quel momento, o rifiuta l’idea di dover dare spiegazioni o di essere chiamato a giudicare il proprio operato. Se fosse così, ci troveremmo anche qui dinanzi ad un meccanismo di difesa: il desiderio di evitare il conflitto, il senso di colpa, la fatica della coerenza. Una nevrosi e un piccolo crimine al confine tra la patologia e l’etica.

Il racconto di Anatole France fa riflettere. Ovviamente non siamo in grado di spiegare davvero il perché del comportamento di Pilato. Quello che vediamo è una persona totalmente autocentrata, focalizzata sulle proprie frustrazioni. Afflitto perché i posteri non gli tributeranno l’onore che merita per ciò che ha fatto come amministratore, divorato dal rancore per le persone che questa (per lui) giusta ricompensa hanno impedito. Nient’altro esiste nella propria vita (tanto meno il ricordo di un dettaglio). Nient’altro può dargli senso.

Un ritratto molto attuale.

l’Adige 4 aprile 2021 (giorno di Pasqua)

 

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