Di seguito due titoli apparsi sui quotidiani nei giorni scorsi. Il primo: “Prove Invalsi 2021, il tonfo della Dad. Alla Maturità metà degli studenti ne sa come in terza media” (pdf). Il secondo: “Adolescenti e dipendenza da pornografia online” (pdf).

Nel primo articolo si stigmatizzava il fatto che la didattica a distanza, cui si è fatto ricorso durante i ripetuti lockdown, avrebbe causato un peggioramento nella preparazione dei nostri ragazzi. Il secondo pezzo riporta i dati di una ricerca secondo la quale i giovanissimi, in casa e con i genitori in un’altra stanza, guarderebbero con frequenza siti porno con il risultato di avere giovani maschi con ansia da prestazione e giovani donne convinte che il sesso sottomesso sia normale.

Sorvolando sul fondamento di quei titoli proviamo a soffermarci su un dato.

La rivoluzione digitale, quella per la quale il Piano nazionale di ripresa e resilienza stanzia più di un quarto delle risorse complessive, avrebbe effetti disastrosi in riferimento all’obiettivo che più ci sta a cuore: la crescita e il benessere dei nostri giovani. Stando a quei titoli, il digitale non farebbe altro che peggiorare i processi formativi in senso ampio. Le cose stanno davvero così? Proviamo ad andare appena un po’ sotto il pelo dell’acqua.

A) I confini inesistenti. In tema di formazione spesso opera una cornice cognitiva implicita che tende a distinguere tra l’educazione che un giovane riceve a casa e la formazione che lo stesso giovane matura a scuola. In realtà questa distinzione ha poco costrutto. Noi impariamo per tutto l’arco della vita attraverso una pluralità di “canali”: la famiglia, la scuola, l’esperienza, i mass media, internet, le occasioni di autoapprendimento e così via. Una seconda cornice implicita è quella che porta a distinguere tra mondo reale e mondo virtuale; per cui una cosa sarebbe la formazione che si svolge in aula e altra cosa sarebbe l’apprendimento attraverso le tecnologie digitali. Ma a ben vedere mondo reale e cosiddetto “cyberspazio” sono sempre più innervati. Se si studia il sussidiario su carta si impara in maniera diversa da come si imparerebbe leggendolo in ebook? La visita di persona agli Uffizi è più o meno formativa della visita virtuale al museo che il mondo ci invidia (https://www.uffizi.it/mostre-virtuali/uffizi-virtual-tour)? Il soggetto che apprende è uno e apprende attraverso una pluralità di strumenti. Il digitale è uno di questi. Solo che sta diventando sempre più pervasivo (nel bene da ricercare e nel male da scongiurare).

B) Gli usi a fini formativi del digitale. Un errore in cui si rischia di incorrere, specie negli ultimi tempi, è quello di credere che didattica digitale significhi: a) per i genitori regalare un ritrovato tecnologico ai figli; b) per i docenti fare la stessa lezione che si fa in presenza davanti ad uno schermo augurandosi che dall’altra parte ci sia qualcuno che ascolti. Ma le cose non stanno così. E non a caso il legislatore non parla più di didattica a distanza (come si ripete nel titolo citato all’inizio) ma di didattica digitale integrata. L’avvento del digitale ha ricadute sugli obiettivi formativi, sulle strategie didattiche, sulle procedure di valutazione, sugli ausili didattici. Già da prima della pandemia il digitale consente a tanti docenti di creare delle “aule aperte” nelle quali il dialogo con gli studenti non si interrompe alla fine dell’ora ma prosegue con altri canali, che consentono, anche a distanza, la costruzione di un apprendimento condiviso (penso alla costruzione comune da parte degli studenti di un sito web che raccolga i contributi di ognuno). Non sto dicendo che la didattica in presenza non serva. Al contrario. Sto dicendo che l’uso del digitale nella didattica è molto più del fare lezione davanti ad uno schermo.

C) Saper formare e saper imparare nell’era digitale. Si usa ripetere che la tecnologia è neutra. Ma allora: se la DAD non funziona è solo colpa della tecnologia? Se i ragazzini vedono pornografia su Internet senza che i genitori nell’altra stanza di casa se ne accorgano è colpa della tecnologia?

Tanti sono convinti che per “entrare” nell’era digitale sia sufficiente comprare un computer, un tablet o uno smartphone. Non è così. Il problema non è lo strumento, ma i contenuti e i modi per costruirli e renderli fruibili. Se il digitale fa sempre più parte delle nostre vite è fondamentale creare degli ambienti di apprendimento che ne sfruttino tutte le potenzialità. Non bastano microfoni e macchine da presa (tecnologia) ci vogliono registi e sceneggiatori (umanesimo). Genitori e insegnanti devono comprendere che non si può educare ed insegnare nell’era digitale senza fare i conti con questo mutato scenario. Certo è difficile. Perché comporta un impegno maggiore. Perché non tutti hanno le (nuove) conoscenze necessarie per educare e insegnare in un mondo retto dalle tecnologie. Perché ancora non sono stati prodotti contenuti idonei allo scopo. Ma anche gli studenti devono imparare ad imparare attraverso questi nuovi ambienti di apprendimento scoprendo le modalità più utili a superare un ruolo meramente passivo.

Per qualche arcana ragione è ben possibile che il digitale scompaia dalle nostre vite. Ma se questo non dovesse avvenire e invece si continuasse la strada intrapresa per diffonderlo in maniera sempre più capillare non altri che genitori e professori possono insegnare a giovani e giovanissimi a prendere il meglio a tutto tondo da queste tecnologie.

Per tornare ai titoli da cui siamo partiti, se qualcosa non funziona non ha molto senso incolpare la tecnologia.

l’Adige, 27 luglio 2021

Alto Adige, 26 luglio 2021

 

 

In argomento vedi la Proposta di raccomandazione del Consiglio relativa all’apprendimento misto [blended learning] per un’istruzione primaria e secondaria di alta qualità e inclusiva

 

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