Per molte persone l’estate è solo il periodo nel quale la solitudine morde più forte.

Se è vero che scrittori e poeti spiegano che la solitudine permette di entrare in intimità con noi stessi, favorisce la conquista dei propri spazi e dell’indipendenza, alimenta la creatività, è altrettanto vero che tanti se la ritrovano accanto senza volerla e patendo i suoi effetti negativi.

Secondo uno studio del 2017, oltre nove milioni di britannici dichiarano di sentirsi soli. Per questo, quando è stata a capo del governo di sua maestà, Teresa May ha voluto un ministro per la solitudine. Tale decisione è stata dettata dalla consapevolezza che la solitudine è alla base di problemi sociali di non poco conto: alcolismo, depressione, ansia, malattie cardiovascolari e così via.

Ma cos’è esattamente la solitudine? Nella percezione comune ci sono categorie di persone più esposte alla solitudine: gli anziani, gli ammalati, i vedovi, i divorziati, i deboli, i poveri. Sarebbe però un errore ritenere che il problema sia confinato solo a questi soggetti.

Per approfondire il discorso conviene distinguere l’isolamento sociale dalla sensazione di solitudine. Il primo corrisponde alla situazione oggettiva di chi (a volte per scelta) ha pochi contatti sociali. La seconda è un stato d’animo soggettivo che si concretezza nella percezione di una “mancanza”. Si può essere isolati senza sentirsi soli. E ci si può sentire soli pur coltivando tantissime relazioni sociali.

L’isolamento sociale è un dato di tipo quantitativo, che segnala la non integrazione nell’ambiente sociale, l’assenza di connessioni relazionali, l’azzeramento del senso di appartenenza. Con il termine giapponese “Hikikomori” si indicano coloro che hanno scelto di ritirarsi dalla vita sociale, spesso cercando livelli estremi di isolamento. Il fenomeno riguarda purtroppo anche tantissimi giovani: si parla di generazione “né-né” per indicare coloro che né studiano né cercano lavoro.

La sensazione di solitudine, invece, è di tipo qualitativo, un stato avverso ed angosciante, un’emozione negativa, la consapevolezza di vivere privi delle relazioni desiderate, ovvero di quelle relazioni di intimità e significative che danno senso all’esistenza. La solitudine produce malessere, stress, disaffezione.

Gli esperti si sforzano di trovare antidoti alla solitudine consigliando di incrementare i rapporti sociali, sviluppare le cosiddette “social skills”, impegnarsi a riflettere su se stessi, agire in maniera empatica e disponibile ai bisogni delle altre persone.

Ma la soluzione del problema non può prescindere dalla individuazione delle sue cause. E allora la domanda diventa: perché tanta gente è sola o si sente sola? Il tutto a dispetto di una realtà che (grazie, ad esempio, ai social network ovvero alla possibilità di viaggiare) sembra offrire molte più occasioni di incontro rispetto al passato. Ovviamente non è neanche pensabile provare a dare una risposta in poco spazio. D’altronde la situazione del giovane “Hikikomori” che volontariamente rifiuta qualsiasi contatto con il mondo non è immediatamente assimilabile a chi non ha alternative al trascorrere i suoi ultimi giorni in un ospizio dimenticato dai parenti. Ma alcuni dati caratteristici della nostra società possono dare delle indicazioni.

A) Il mito della libertà. In un film di Agnès Varda di qualche anno fa, intitolato “Senza tetto né legge”, la protagonista si sente dire: “Tu hai scelto la libertà assoluta, e la paghi con un’assoluta solitudine”. L’anelito alla libertà di qualsiasi tipo può non conciliarsi con la creazione di legami. Non stupisce che possa ingenerare, come contraltare, solitudine.

B) Il mito del mercato. Nella nostra epoca tutto (compreso il lavoro) è merce da offrire su un qualche mercato. Quest’ultimo, a propria volta, si fonda sulla concorrenza. E la competizione sfrenata porta a vedere nell’altro non un alleato, ma un “nemico” da combattere, qualcuno da cui guardarsi e dal quale mai può venire aiuto o solidarietà. Anche questo, nella misura in cui frustra il bisogno di fiducia, alimenta il senso di solitudine.

C) Il mito dell’autonomia. L’ideologia che domina i nostri tempi porta ad enfatizzare la capacità di decidere da soli cosa sia meglio per se stessi. Anche qui il contraltare è la tendenza all’individualismo e la disabitudine all’ascolto: altra benzina per il motore della solitudine.

Voglio essere chiaro: non ho nulla contro la libertà, il mercato e l’autonomia. Al contrario. Ma se è vero che il loro “culto” può avere come conseguenza un incremento delle persone sole, forse una riflessione (certo, insieme a molte altre) deve essere fatta. Anche solo per riscoprire il senso delle cose che facciamo. Delle cose in cui crediamo.

l’Adige, 9 agosto 2019

 

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